Friday, February 15, 2019

Il congiuntivo e' la coda di una lucertola


Finalmente, dopo tanti anni, ho fatto pace con il congiuntivo. Ho smesso di maledirlo, di combatterlo.

Finally, after all these years of speaking Italian, I’ve made peace with the subjunctive. I’ve stopped cursing it, I’ve stopped fighting it.

Avevo imparato l’italiano a sedici anni a Castellammare di Stabia, e quella forma verbale mi sembrava un po’ snob e lontana dalla lingua del cuore, e dal dialetto. Il congiuntivo commetteva addirittura un’ingiustizia, per come sottometteva la seconda metà della frase mettendo in dubbio il suo diritto di esistere. Sono contenta che lui mi abbia chiamato. Ma lui mi ha chiamato, ragionavo, su questo non ci sono santi! Così come subordinava la realtà, anche nel suo uso più accettato sgonfiava i sogni. Spero che mi abbia chiamato. Detto così, non c’era speranza proprio. Avrei voluto scrivere una tesi semiologica sul congiuntivo, contattare la Treccani, farlo abolire.

I learned Italian when I was sixteen and living in Castellammare di Stabia, in the province of Naples. At the time that verb form seemed somewhat stuck-up and removed from the language of the heart, and from the dialect. The subjunctive was even committing an injustice, the way it subjugated the second half of the sentence like that, casting doubt on its very right to exist. Sono contenta che lui mi abbia chiamato [I’m glad he called me].” But he did call me, I reasoned, so there could be no doubt about it! In the same way that it subjugated reality, even in its most formulaic usage the subjunctive deflated the speaker’s hopes and dreams. Spero che mi abbia chiamato [I hope he called me].” Put like that, grammatically speaking there wasn’t a chance in hell. I wanted to write a semiological thesis on the subjunctive form, contact the authorities, have it abolished.

Soltanto ora capisco che quella mia guerra filosofica era fondata su una profonda incomprensione.

Only now do I understand that the philosophical war I was fighting was based on a deep misunderstanding.

L’altro giorno il mio gatto ha portato in casa un geco. Una lucertolina scura che non si fidava del mio bicchiere di plastica che tentava di portarla in salvo, e che era molto più veloce della media. Ho sbagliato mira. L’orlo del bicchiere gli ha scisso la coda, in modo più netto di quanto avrebbe potuto fare il mio gatto in tutta la sua indifferenza. Per un attimo sono rimasta lì inginocchiata, sconvolta dall’atto involontario che mi aveva trasformata, in un battibaleno, da soccorritore in boia. E inorridita dalla scena davanti agli occhi.

The other day my cat brought a gecko into the house. A little dark one that was untrusting of the plastic cup I was trying to save it with and much faster than your average lizard. My aim was off. The edge of the cup sliced off his tail, a clean cut that not even my cat in all her indifference could have made. For a second I just kneeled there shocked by my involuntary act that had, in a split second, turned me from savior to executioner. And horrified by the scene before my eyes.

Il geco era schizzato sotto un mobile, ma sopra il parquet la sua coda si contorceva come se provasse un dolore insopportabile. Sembrava viva. Quella coda, che credevo forse un inutile accessorio estetico trascinato di qua e di là contro il suo volere, in verità si opponeva con tutte le forze al distacco dal corpo. Quella coda non voleva l’autonomia, non voleva l’emancipazione: voleva far parte di qualcosa di più grande, di più importante, di lei. L’ingiustizia l’avevo fatta io. Perché era solo in quella sua voglia matta di partecipare, di dipendere da qualcuno ed essere portata per mano, che aveva un suo perché.

The gecko had darted under the cupboard, but his tail was writhing on the wooden floor as if in the throes of an unbearable pain. It looked alive. That tail, which I’d thought of as a useless, aesthetic accessory dragged around against its will, was in reality fighting with all its might against being detached from its body. That tail didn’t want independence, it didn’t want emancipation: it wanted to be a part of something bigger and greater than itself. The injustice was mine. Because it was only in its wild desire to participate, to depend on someone and be led by the hand, that it had any reason to exist at all.

7 comments:

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    1. Ahah! Se lo fossi, avrei imparato anni fa l'uso corretto del congiuntivo!

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  2. Capisco il tuo dubbio sull'uso del congiuntivo ma oggi in Italia viene usato spesso male .Purtroppo viviamo un periodo buio dove l'ignoranza si ritiene che possa stare sullo stesso piano della conoscenza e questo perchè si ha un distorto concetto della democrazia.Sembra che tutto debba essere espresso facendo riferimento solo a personalissimi bassi istinti dell'essere umano e non con raziocinio e rispetto dell'altro.

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  3. Il congiuntivo è il modo del dubbio, della speranza, dell’attesa, dell’opinione, sempre nell frasi subordinate, “congiunte” per l’appunto. Il suo uso spesso è soggettivo ma dipende anche dallavariante regionale dell’italiano. Il toscano è probabilmente la variante che me fa l’uso più corretto rispetto all’italiano standard. Esiste anche l’ipercongiutnivo od abuso del congiuntivo come nel caso di “sono contento che tu mi abbia telefonato”. La forma corretta è “sono contento che mi hai telefonato”.
    Saluti
    Roberto

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  4. Oh no, veramente? Allora sono sicuramente colpevole di ipercongiuntivismo! Devo tornare sui libri...Grazie mille, Roberto.

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