Tuesday, September 10, 2019

Lettore, lettrice (Reader)


1.
È a te che mi racconto, caro mio lettore: confessioni
al mio lontano confessore padre adorato maestro.
In te riverso gli uragani e gli irrigatori della mia infanzia,
le quotidiane illuminazioni, le più spicciole osservazioni:
Senti stamattina questi uccelli che spettegolano come vaiasse,
mentre da te il silenzio ti avvolge nella sua coperta stellata…
Guarda queste nuvole australi che viaggiano sul globo da ovest
a este, escogitando e sfilacciando draghi, sirene, elefanti…
Tu sei i miei occhi, le mie orecchie, la parte della mia anima
alla quale scrivo, il mio taccuino in tasca, la chiave di casa,
fratello amante carissimo amico mio, tassello mancante.
Vediamoci là, sull’orizzonte, su quella riga tra sogno e realtà,
parliamoci se preferisci nello spazio tra le righe, ma vediamoci.
Ma appena ti ho vicino, nella macchina che spacca la notte
come un déjà vu, portandoci chissà dove (chissà!),
le parole volano via come fogli risucchiati dal finestrino:
in quella sordità la geografia non esiste, il tempo svanisce,
e ho solo voglia di appoggiare la testa sulla tua spalla,
intrecciarmi nelle maglie del tuo maglione, dissolvermi.
 
1.
It’s you that I write to, my dear reader: confessions
to my faraway confessor father beloved teacher.
It’s you that I pour my childhood into, its hurricanes and sprinklers;
into you go my daily insights and most insignificant thoughts:
Listen to the birds this morning gossiping away like fishwives,
while over there silence wraps you in its starry blanket…
Look how the clouds, here down under, travel the globe from west
to east, doing and undoing dragons, mermaids, elephants…
You are my eyes, you are my ears, the part of my soul
that I write to, the notebook in my pocket, the key to home,
my brother lover dearest friend, my missing piece.
Let’s meet there, on the horizon, the line between dream and reality,
if you like we can talk in the space between the lines, but let’s meet.
Yet as soon as you’re beside me, in the car that splits the night
like a déjà vu, taking us somewhere (who knows where?)
the words fly like sheets of paper sucked out through the window:
in that deafness, geography no longer exists, time vanishes,
and all I want to do is lay my head on your shoulder,
weave myself into the thread of your sweater, melt.
 
 
2.
Ho fatto un sogno, mia carissima lettrice, di nidi galleggianti,
intrecci di rami sulla seta nera di un’acqua salmastra,
un bacino di lacrime di donna con chissà quale oro sul fondale.
Case di fortuna, create stagione dopo stagione da uccelli acquatici,
troppo leggere per affondare ma troppo forti per disfarsi poi
nella corrente invisibile che le porta fatalmente incontro alle onde;
trascinata lo so anch’io, una cosuccia da niente, ma galleggio (galleggio!)
e mi viene un urlo infantile, uno spavento di quelli belli – ma ecco
che sulla cresta della paura mi vieni in soccorso tu, cara amica,
perché un’onda mi butta illesa, per una finestra, dentro casa tua,
decorata con legno di spiaggia, purificato dal lungo tragitto e dal sole,
e con foglie raccolte da terra: roba di trascurata, esplosiva bellezza.
O forse è casa mia, carissima sorella gemella specchio dell’anima,
che prendi una copertina di muschio trovato nel bosco e me la porgi
con dita incallite ma tenere e un sorriso che già tutto sa – e poi
mi sono svegliata con questa tua poesia, un mulinello nella testa.
 
2.
I had a dream, my dearest reader, of floating nests: branches
woven together and floating on the black silk of brackish water,
a basin of women’s tears with who knows what gold on the bottom.
Makeshift houses, built season after season by waterbirds,
too light to sink yet too strong to fall apart when, then,
an invisible current sets up a fatal encounter with the waves;
I too am pulled along, a nothing on the water, but I’m floating (floating!)
and I let out a childish scream of delight at the fright – but there,
on the crest of my fear, you come to rescue me, dear friend,
because a wave throws me unharmed through a window into your house,
decorated with driftwood cleansed by the long journey and the tall sun
and with leaves fallen to the ground: things of overlooked, explosive beauty.
Or maybe the house is my own, dearest twin sister my mirror reflection,
who are now taking out a little moss blanket and handing it to me
with callused but tender fingers and a knowing smile – and then
I woke up with this poem of yours, a whirlpool in my head.

17 comments:

  1. io voglio leggerti sempre. tu non smettere mai di scrivere..

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  2. …ho appena finito, purtroppo e finalmente, di farmi trascinare dal Suo Romanzo.

    Che dire, Complimenti!

    Mi è rimasta la malinconia di un amore a metà.
    Quell'amore che resta dentro per sempre, forse perché non è mai riuscito a dare i frutti sperati o forse perché con la sua fine ci si ritrova con qualche dubbio, qualche rimorso e sicuramente con un sogno irrealizzato.
    La bellezza, la forza ma in un certo senso anche l’impotenza di un amore bello e impossibile, rimasto tale forse perché non ha avuto il tempo di perdersi nella quotidianità di un rapporto che con il tempo sarebbe divenuto normale.

    Ho provato molte emozioni leggendo questo libro!
    La spensieratezza che si ha quando si è giovani e si assapora per la prima volta la libertà. La gelosia nei confronti di Gabriele, la rabbia per un Pietro inconcludente che non è stato in grado di fare ciò che avrebbe voluto....e molto altro.

    Veramente bello!
    Sono veramente felice di averlo letto.

    Mi scuso per averLe scritto, non lo faccio mai, in realtà non ne avevo mai sentito il bisogno prima d’ora.
    Veramente non avevo nemmeno mai scritto su un blog, ma non potevo non ringraziarLa.

    Capita spesso che mio suocero mi dica “Manuele, mangia questa pesca e senti quanto è bella!” .
    Solo ora capisco che ha ragione lui nel dire “senti quanto è bella”.
    Nel suo italiano profondamente condizionato dal dialetto riesce così, con poche parole, a creare un miscuglio di sensi, proprio perché quella pesca non è solo bella da vedere, ma è buona da mangiare, profumata e morbida al tatto.
    Insomma, bella per tutti i sensi!
    Per questo motivo penso che Lei sia una scrittrice Bellissima!
    Mi permetto di scrivere “Bellissima” proprio perché se scrivessi “Bravissima” sarebbe riduttivo nei Suoi confronti.
    La Sua storia, Il linguaggio, la forma, la struttura del racconto, la scelta del titolo, l’immagine in copertina…..
    Insomma, un Romanzo bello a 360°.
    Complimenti!
    Grazie ancora
    Manuele

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  3. Caro Manuele, sono commossa da questo messaggio, uno dei piu' belli che abbia mai ricevuto. Davvero. E l'immagine della bella pesca e' meravigliosa, metaforicamente, linguisticamente. Ha ragione, suo suocero ha racchiuso in poche parole un concetto immenso ed essenziale, e credo che non le dimentichero' mai. Grazie di cuore per questo regalo. Heddi

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    1. Buongiorno, solo oggi leggo la Sua risposta.

      Aver considerato il mio messaggio come un regalo mi emoziona e mi rende davvero felice.
      Grazie mille!

      Spero un giorno di poterla incontrare in qualche libreria di Milano, magari mentre starà pubblicizzando un altro bellissimo romanzo.

      Grazie ancora. Manuele

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  4. Piango ogni volta che lo leggo!

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  5. Ho pianto per scriverlo...Chiunque tu sia, ti abbraccio.

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  6. Ciao sto leggendo il tuo libro. Ci siamo conosciuti in quella vita :-)

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  7. Menotti, della tua empatia e vitalita' non mi sono mai scordato. Un abbraccio.

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  8. Stanotte ho terminato Perduti nei quartieri spagnoli....GRAZIE

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  9. Gentile Heddi,

    scrivo qui i miei pensieri in merito al romanzo “Perduti nei quartieri spagnoli” e mi permetto, pur non conoscendoci, di darti del “tu” perché non voglio essere troppo formale.

    Sono un’ex studentessa universitaria, laureata anch’io all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale (traduzione e interpretariato). Ho vissuto a Napoli tra il 2002 e il 2006 nei pressi di Via Nilo. Le mie origini appartengono a un piccolo paesino collocato in provincia di Caserta, i cui stessi abitanti definiscono “un luogo dimenticato da Dio”!

    Da scrittrice e lettrice appassionata quale sono, ho letteralmente divorato il tuo romanzo, sarà stato grazie alla tua proprietà di linguaggio, a Napoli o agli episodi che si sono susseguiti come una doccia fredda, per concludersi in un finale che era proprio così come lo desideravo. Sì, perché, (sperando di non ferirti) ho più volte, durante la lettura, detto fra me e me: “Ti prego, vai via da quel posto!”. E non ti nego di aver ringraziato il cielo quando ho letto le parole pronunciate da Gabriele: “scappa e non voltarti”.

    Parlo per me ma sono certa che molti dei miei compaesani potranno riconoscersi nella lettura se vorranno. I nostri luoghi di origine, pur essendo così piccoli e agli occhi di molti, insignificanti, in realtà sanno essere spigolosi, crudeli e determinanti, più di quanto possa esserlo una grande città. Solo i più forti riescono a sottrarsi a questo circolo vizioso e insano, e chi, come Pietro, ha alle spalle una famiglia così radicata alla “terra” e alle origini, raramente ce la fa! Pur inconsapevolmente, veniamo educati seguendo princìpi irrazionali, complessi e a tratti surreali. Seguiamo il ritmo di una musica che è sempre la stessa, balliamo facendoci condurre da un tempo fermo, una melodia piatta e senza suono. Ben presto veniamo catapultati su terre incolte e abbandonate, dove neppure gli ovini hanno più voglia di pascolare e dove le erbacce crescono rigogliose. Cresciamo percorrendo strade piene di buche, con l’odore di sterco fisso nelle narici e il pianto dei maiali nella testa. Sì, lo conosco anch’io… è umiliante per l’umanità!

    Ma un bel giorno finalmente ci risvegliamo! Carichiamo i nostri beni più preziosi, in una valigia anch’essa impregnata di odori, e saltiamo giù dalla ruota. Nel mio caso sono stata più fortunata, perché avevo un papà saggio che dopo la laurea, pur con profondo rammarico, mi disse “vattene da qui”. Così feci e me ne andai.

    Ma il peggio non è quando te ne vai, bensì quando il tuo luogo di origine inizia a mancarti. Pazzesco! Ti manca praticamente “il niente”. Ti manca ciò che agli occhi di molti è pura follia. Ti manca persino la puzza di sterco, le giornate con la nebbia fitta, le case umide, la pioggia abbondante e incessante, la puzza di fumo dei camini. In pratica inizi a desiderare ciò, che fino a poco tempo prima, odiavi profondamente. Ci chiamano “i più forti”, quelli che hanno trovato il coraggio di preparare le valigie e partire. Temo resteremo sempre i più deboli, soprattutto nel posto in cui andremo a stare, dove dovremo adeguarci cercando di far fronte a una nuova vita, portando dentro di noi un passato fatto non di giochi da tavola, carte e puzzle bensì del latrato assordante dei cani abbandonati in fin di vita.

    Gentile Heddi, ho voluto scrivere questi miei pensieri per ringraziarti, perché hai saputo raffigurare alla perfezione la debolezza che ancora affligge una buona parte della nostra comunità. Chiedo scusa per aver sfogato la rabbia che ancora porto dentro. Non ho saputo evitarlo.

    Buona vita!

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    1. Silvana, questa descrizione a doppia lettura (il prima e il dopo taglio del cordone) la ritrovo perfettamente in me stesso, nella mia vita e in quella di tanti, anzi tutti, i miei amici e conoscenti originari di luoghi come il tuo ed il mio paese dell'entroterra campano. È vero, c'è un prima e un dopo taglio del cordone, un evento questo che può anche non coincidere necessariamente con una partenza fisica come penso sia accaduto nel tuo caso, ma anche con una sorta di presa di coscienza progressiva. Io sono andato e tornato anche se non proprio nel "nulla". Ma pur da quasi vicino al mio heimat dove posso andare quando voglio, sento la mancanza di quella puzza di sterco, dei pianti dei cani, della puzza di orina dei miei genitori morenti.
      Ce l'abbiamo dentro attaccato alle ossa, alle narici, alle orecchie. Li sentiremo sempre anche tornando li o vivendo a NY o altrove lontano. Non ti crucciare, siamo fatti anche di questo.
      Ho vissuto da giovane una storia simile a quella di Heddy/Pietro e ne porto dentro e fuori ancora le conseguenze, dopo vari decenni. E ho vissuto lo stesso sentimento che descrivi tu, all'inizio, per capire poi che tutto ciò era indipendente dal mio mondo esterno e dalle mie aspirazioni e relazioni.
      Sono quelle radici infiltrate nel nostro corpo che non ci lasciano andare via. Nel bene e nel male.
      Buona vita.

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  10. Cara Silvana, hai reso con parole vivaci e appassionate un sentimento complesso che mi affascina da sempre. E hai aggiunto un altro livello al fenomeno, quello della debolezza...e ti diro' che vivo la mia mancanza di radici come una debolezza. Credo che il nostro rapporto con la terra va complicandosi ogni giorno di piu' e l'unica cosa che possiamo fare e', appunto, affrontarlo con sinceria', coraggio e passione come hai fatto tu. Ti ringrazio per avermi scritto proprio in questo momento, le tue parole mi hanno fatto un mondo di bene. Un forte abbraccio dalla Nuova Zelanda!

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  11. Un (bel) po' di imprecisioni, diciamo così, sui luoghi, sulle persone, quelle al contorno...
    Tutto emerge come verità assoluta in questo racconto delle persone, cosa che sicuramente non é. Forse qualche condizionale in più non avrebbe guastato, almeno per sottolineare che erano sue sensazioni e valutazioni dell'epoca, gentile Heddy.
    Il libro, la storia prendono soprattutto chi ne ha vissute di simili. Ti trascina fino alla fine, ti tocca e ti contorce.
    Poi, alla fine, passato il groppone alla gola per un mondo che non c'è più, realizzi che forse c'è solo un leggero risentimento e perché no, un po' di invidia, verso un mondo dove invece le radici ci sono e sono molto profonde. Forse alcune sue verità su ragazzi, ragazze, donne e uomini di un mondo soltanto un po' diverso dal suo, se le poteva risparmiare. L'amore non sempre può (spiegare) tutto.
    Con rispetto

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