Finalmente, dopo tanti
anni, ho fatto pace con il congiuntivo. Ho smesso di maledirlo, di combatterlo.
Finally, after all these years of speaking Italian, I’ve
made peace with the subjunctive. I’ve
stopped cursing it, I’ve stopped fighting it.
Avevo imparato
l’italiano a sedici anni a Castellammare di Stabia, e quella forma verbale mi sembrava
un po’ snob e lontana dalla lingua del cuore, e dal dialetto. Il congiuntivo commetteva
addirittura un’ingiustizia, per come sottometteva la seconda metà della frase mettendo
in dubbio il suo diritto di esistere. Sono
contenta che lui mi abbia chiamato. Ma lui mi ha chiamato, ragionavo, su questo non ci sono santi! Così come subordinava
la realtà, anche nel suo uso più accettato sgonfiava i sogni. Spero che mi abbia chiamato. Detto così,
non c’era speranza proprio. Avrei voluto scrivere una tesi semiologica sul
congiuntivo, contattare la Treccani, farlo abolire.
I learned Italian when I was sixteen and living in Castellammare
di Stabia, in the province of Naples. At the time that verb form seemed somewhat
stuck-up and removed from the language of the heart, and from the dialect. The
subjunctive was even committing an injustice, the way it subjugated the second
half of the sentence like that, casting doubt on its very right to exist. “Sono contenta che lui
mi abbia chiamato [I’m glad he called me].” But he did call
me, I reasoned, so there could be no doubt about it! In the same way that it
subjugated reality, even in its most formulaic usage the subjunctive deflated the
speaker’s hopes and dreams. “Spero che mi abbia chiamato [I hope he
called me].” Put like that, grammatically speaking there wasn’t a
chance in hell. I wanted to write a semiological thesis on the subjunctive
form, contact the authorities, have it abolished.
Soltanto ora capisco
che quella mia guerra filosofica era fondata su una profonda incomprensione.
Only now do I understand that the philosophical war I
was fighting was based on a deep misunderstanding.
L’altro giorno il mio
gatto ha portato in casa un geco. Una lucertolina scura che non si fidava del
mio bicchiere di plastica che tentava di portarla in salvo, e che era molto più
veloce della media. Ho sbagliato mira. L’orlo del bicchiere gli ha scisso la
coda, in modo più netto di quanto avrebbe potuto fare il mio gatto in tutta la
sua indifferenza. Per un attimo sono rimasta lì inginocchiata, sconvolta dall’atto
involontario che mi aveva trasformata, in un battibaleno, da soccorritore in boia.
E inorridita dalla scena davanti agli occhi.
The other day my cat brought a gecko into the house. A
little dark one that was untrusting of the plastic cup I was trying to save it with
and much faster than your average lizard. My aim was off. The edge of the cup
sliced off his tail, a clean cut that not even my cat in all her indifference
could have made. For a second I just kneeled there shocked by my involuntary
act that had, in a split second, turned me from savior to executioner. And horrified by the scene before my eyes.
Il geco era schizzato
sotto un mobile, ma sopra il parquet la sua coda si contorceva come se provasse
un dolore insopportabile. Sembrava viva. Quella coda, che credevo forse un inutile
accessorio estetico trascinato di qua e di là contro il suo volere, in verità
si opponeva con tutte le forze al distacco dal corpo. Quella coda non voleva l’autonomia,
non voleva l’emancipazione: voleva far parte di qualcosa di più grande, di più
importante, di lei. L’ingiustizia l’avevo fatta io. Perché era solo in quella sua voglia
matta di partecipare, di dipendere da qualcuno ed essere portata per mano, che
aveva un suo perché.
The gecko had darted under the cupboard, but his tail
was writhing on the wooden floor as if in the throes of an unbearable pain. It looked
alive. That tail, which I’d thought of as a useless, aesthetic accessory
dragged around against its will, was in reality fighting with all its might against
being detached from its body. That tail didn’t want independence, it didn’t
want emancipation: it wanted to be a part of something bigger and greater than
itself. The injustice was mine. Because it was only in its wild desire to participate,
to depend on someone and be led by the hand, that it had any reason to exist at
all.