Confesso che a volte al mattino ho proprio voglia di urlare.
Quelle giornate nere in cui mi sveglio con la faccia gonfia per la mancanza di
sonno e sono inondata di lamentele prima ancora di poter fare la pipì: Non mi
hai preparato ancora i fiocchi d’avena? Ma mico li mangio senza lamponi, sai.
Quella è la mia scimmia, ridammela! Miao, miaoooo, e io poi? Quelle mattine in
cui ho lavato la maglietta sbagliata e le scarpe non possono assolutamente
essere infilate finché non si risponda alla più urgente delle domande, a
rischio di tardare a scuola: "Mamma, ma i denti vanno a galla?"
So how is it that I can get through the marathon of exiting
the house without even raising my voice, only to scream my lungs out – as
happened last Friday – to a total stranger in the zoo parking lot? Call it road
rage. Call it sleep deprivation. Call it what you will. But that one last
irrational whine, this time from a grown man, was the last straw.
Allora com’è che riesco a sopravvivere alla maratona di
uscire di casa senza neanche alzare la voce, per poi sputare i polmoni – come è
accaduto venerdì scorso – a un perfetto sconosciuto nel parcheggio dello zoo?
Chiamala rabbia al volante. Chiamala carenza di sonno. Chiamala come ti pare.
Ma quell’ultima lagna irragionevole, questa volta da parte di un uomo
cresciuto, è stata l’ultima goccia.
At first I protested calmly, saying there was no reason to
be angry and explaining that he was the one who’d parked illegally, a
horizontal campervan in a vertical world. But he barked that I was being rude
and that he was calling his car insurance company. Was that a threat?
Inizialmente ho protestato con la massima calma, dicendo che
non c’era nessun motivo per arrabbiarsi e spiegando che era stato lui a
parcheggiare illegalmente, un camper orizzontale in un mondo verticale. Ma lui
ha ringhiato che ero una scostumata e che avrebbe telefonato all’assicurazione
auto. Ma mi stava minacciando?
I turned up the volume. “You’re being so impolite that I
really shouldn’t move my car for you. But I’m going to do it anyway because I’m
a nice person.”
Ho alzato il volume. “Lei è così maleducato che veramente non
dovrei spostare la mia macchina. Ma lo faccio lo stesso perché sono una brava
persona.”
“Whatever!” he grumbled, proving to me once again that
grumpy old men are just not cute enough to be tolerated.
“Ma fammi il piacere!” ha brontolato lui, l’ennesima
conferma che i vecchi scorbutici non sono bellini abbastanza da essere
sopportati.
I got back in my car, slammed the door and yelled as if to
rouse the lions in the zoo, “Whatever is not the correct answer!”
Sono rientrata in macchina, ho sbattuto lo sportello e ho
gridato come per destare i leoni nello zoo, “Quella non è la risposta giusta!”
It was not a scream. It was a horrific, primal tearing of
the air that stopped the campervan driver on his cell phone, my little boy in
his car seat, the cars in the parking lot and even the hippos in their mud. It
shook me too and I think I know why.
Non era un urlo. Era uno strappo all’aria, raccapricciante e
primitivo, che ha fermato di colpo l’autista del camper al telefonino, il mio
bambino nel suo seggiolino, le macchine nel parcheggio e perfino gli ippo nel
loro fango. Ha scosso anche me e credo di sapere il perché.
My voice was not my own at all but the ghetto cry of a
Neapolitan housewife throwing her aproned bosom against her balcony railing,
wielding a wooden spoon and a voice as shrill and piercing as a drill,
threatening castration to the living and eternal damnation to the dead. A
tremor that stunned the entire ghetto and that was impossible to get used to
even after a decade living there, with shock waves that rippled through the air
all the way to the sea, stopping only before the almighty volcano, and you just
knew someone had crossed that poor woman’s line. Call it balcony rage. Call it sleep deprivation. Call it what you will.
La voce non era la mia affatto, bensì il grido di quartiere
di una casalinga napoletana che lanciava il petto coperto di grembiule contro
la ringhiera di un balcone, armata di un cucchiaio di legno e di una voce acuta
e penetrante come un trapano presa a minacciare la castrazione ai vivi e la
dannazione eterna ai morti. Una scossa che stordiva l’intero quartiere e al
quale era impossibile abituarsi anche dopo un decennio a vita napoletana, con
onde d’urto che si espandevano nell’aria fino al mare, fermandosi soltanto
davanti al vulcano onnipotente, e sapevi benissimo che qualcuno aveva davvero
superato il limite a quella povera cristiana. Chiamala rabbia al balcone. Chiamala carenza di sonno. Chiamala come ti pare.